Un vegetariano in Giappone (o in Corea)

 Mi è stato detto prima di partire e l’ho letto un po’ ovunque: in Giappone la vita è dura per i vegetariani… anche in Corea. È un dato di fatto che in Giappone non c’è la stessa attenzione rivolta in Occidente alle diverse diete: nei ristoranti e nelle izakaya ci viene sempre chiesto se abbiamo delle allergie, ma oltre questo è già difficile districarsi nella scelta dal menù, la metà delle volte solo scritto in giapponese. In aggiunta a queste difficoltà, nemmeno i consigli di camerieri e cuochi aiuta: praticamente in ogni ristorante abbiamo chiesto qualche delucidazione e nella maggior parte dei casi le risposte sono state vaghe, “non so” o addirittura errate.

Detto ciò, la cucina giapponese non è solo carne e pesce crudo: esistono molti piatti a base di soia e derivati (abbiamo scoperto lo yuba, una specie di “panna” del latte di soia), le uova sono ampiamente utilizzate e, non dimentichiamo, in Giappone ci sono degli ortaggi buonissimi che non conosciamo quasi per nulla in Occidente. 

Ecco quindi una piccola scelta di piatti che abbiamo provato e che potrebbero aiutare i vegetariani. Va detto che abbiamo provato piatti solo a Seul, a Tokyo e a Kyoto, influenzati da cucina locale che potrebbe essere differente in altre regioni del Giappone o della Corea.

A Kyoto abbiamo fatto una piacevole scoperta: la cucina obanzai. Si tratta di cucina semplice, di piatti che si possono normalmente cucinare a casa, ma che si basa su ingredienti freschi e locali. La tipica frittata dashimaki, arrotolata e cotta con poco olio di sesamo in una padella rettangolare, o le melanzane grigliate con salsa di soia che assume il sapore del Camembert sono solo due degli esempi di questa cucina. Ci sono vari tempura, delle caponate, insalata di patate, fagioli cucinati in vari modi e così via. E, ovviamente, l’onnipresente tofu e lo yuba. Le foto qui sotto non rendono molto perché avevamo già spazzolato tre quarti di ciò che ci avevano portato. :)




La cucina dei templi

Vegetariani o no, credo che la cucina dei templi buddhisti e scintoisti sia un’esperienza da provare. I monaci sono per religione vegetariani, devono ovviamente rimanere in buona salute e nutrirsi adeguatamente, ma soprattutto i pasti sono una parte integrante della loro vita: un monaco non deve vivere per mangiare, ma deve trarre dal cibo la bellezza e la soddisfazione provata per qualsiasi altra esperienza della vita. 

Queste foto sono del pranzo al ristorante del tempio di Jogyesa a Seul: 



Il pranzo non è stato dei migliori: la maggior parte dei piatti è basata su funghi Shitake (simili ai cardoncelli in Italia) e il tipico Kimchee (verdure tenute sott’aceto per poterle conservare), ma sicuramente un’esperienza.

Tutt’altra cosa è stato invece il pranzo al tempio di Tenryu-ji ad Arashiyama, dove c’è anche una delle più belle foreste di bamboo di Kyoto. In questo caso il pranzo era principalmente basato su verdure locali, riso e tofu: il pasto più economico quello con “solo” 5 assaggi, era già più che abbondante e con cento diversi sapori che si armonizzavano tra loro.


Attenzione alle “trappole per vegani”!

A Seul abbiamo mangiato in uno dei migliori ristoranti fin qui provati, ma siamo anche capitati in posti “per vegani” che avevano tra i più alti punteggi su Google o Tripadvisor: penso che sia in parte dovuto alla categoria demografica di chi lascia commenti su Internet e al fatto che vegetariani, disperati per non aver trovato nulla da mangiare, hanno dato buone recensioni agli unici posti che davano almeno qualche opzione. 




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